L'inettitudine
Cominciai a leggere durante l'ultimo anno di liceo.
Ora che ci penso da bambino mi costrinsero a leggere, ma quel tipo di cose non funziona mai.
Immagina che l'intera letteratura mondiale sia una città mai visitata. Io non la visiterei mai su quei bus per turisti con tanto di guida. Piuttosto affitterei una bici, o un auto o la girerei semplicemente come mi apre. E per lo stesso motivo , credo, quella prima esperienza costretta con la lettura non attecchí.
Con Dostoevskij fu diverso. Fui io a sceglierlo, andando su wikipedia per vedere di cosa si trattasse.
Non avrei potuto fare una scelta migliore.
Ma un aggettivo mi incuriosí particolarmente...inetto.
Inettitudine.
Mi interessavano gli ultimi, gli sconfitti. Quelli che non tenevano il passo del mondo.
Mi sentivo così ma riuscii ad ammetterlo a me stesso solo anni dopo.
Anche io mi ero comportato da inetto, da stupido.
Volevo saperne di più, ero curioso. Cominciai a cercare, a leggere, come un ipocondriaco su Google.
Mi lanciavo genuinamente e senza filtri verso "le passanti" non capendo che non erano nient'altro che passanti. Scrissi lettere mai consegnate.
Giocarono con me, e io lasciavo fare.
Se qualcuno voleva condividere qualche passo di un sentiero comune non mi interessava più, insomma la solita solfa del "vogliamo ció che non abbiamo".
Le sferzate dei loro cambi di umore mi spensero.
Migrai al polo delle anime.
Lessi Pessoa. Mi sentii meno solo.
Lessi Camus. Mi sentii meno colpevole.
Lessi Siddartha. Diventai Siddartha.
Tra la folla cercavo qualcuno come me. Non potevo essere l'unico. Io cercavo persone estraniate come me.
Di notte se fai attenzione senti chi come te si è spento, scivola sul fiume, con l'anima dormiente sotto un velo di gelida apatia.
Passarono gli anni, persi pezzi di me. Ma nonostante questo costruivo con la lettura. Ero partito un annetto prima. Non ho mai piu smesso.
E poi ci sei tu. Quel giorno vidi la luce. Tardi peró capii di essere ancora nella caverna a fissare riflessi.
Ora sono cresciuto, sicuramente non ci cascheró, saró cauto, mi dicevo.
Ovviamente fui calpestato, insultato.
A parte tutto conservo ancora quel ricordo, dentro. Distante dal freddo , distante da me.
Quella panchina.
Stanotte ti ho sognata.
Il boia fece accomodare alla tagliola la speranza, che fu seguita dal pescatore, colpevole solo dell'abbondante pesca di illusioni delle notti prima.
Non c'erano persone ad assistere.
Persi le lacrime sul sentiero verso la città. Mi sentivo ancora Siddartha. De Andrè prese il posto che gli spettava dentro di me. "Tra l'aorta e l'intenzione"...
Tutto finí con "Hotel supramonte".
Ora non mi illudo. E sono piú solo che mai.
Continuerò a fingere.
Coltiveró salute, sapere e disincanto.
Mi terrò lontano da aspirazioni e vane speranze.
La felicità è finta, passeggera.
Il dolore è reale.
Lo lascio scavare.
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